Il professor Nino Dazzi è stata una presenza importante nella mia vita da quando ero giovane e lui un giovane professore della Sapienza. Lo avevo conosciuto perché con una mia amica psicoterapeuta dell’epoca, Giorgianna Gardner, lo avevamo intervistato su problemi della formazione in psicoterapia, e lo ricordo giovanissimo e già autorevole. Con Giorgianna volevamo scrivere un libro sui diversi temi centrali della formazione nelle diverse correnti psicoterapiche. Questo libro non si è mai fatto e per anni ho perso i contatti con lui.
Poi negli anni in cui si pensava alla costruzione della legge sulle scuole di psicoterapia lui ha spinto perché si attutisse l’egemonia psicoanalitica e perché tutti i clinici avessero una formazione almeno formalmente controllabile e schematizzabile. Insomma, ha iniziato un lavoro che va avanti ancora adesso anche se i criteri ovviamente si stanno modificando e modernizzando. L’impianto però era di quel periodo ed è rimasto. La psicoterapia italiana è oggi riconosciuta in Europa come una delle più formalizzate dal punto di vista della formazione.
Negli anni dalla nascita delle nostre prime scuole Nino Dazzi è stato per me punto di riferimento, irrinunciabile, spesso critico, sempre stimolante, mai ostile. Un vero maestro nel senso che io intendo, una persona che aiuta le persone a mettere in ordine i ragionamenti e le spinge a misurarsi con i propri progetti tenendo conto di ambizioni e limiti di ciascuno. Una persona che non trae gioia nel porre obiezioni alle idee e agli sviluppi altrui se le ritiene degne di stima e utili per la professione. Un amico con cui ci incontravamo a Roma, a cena a mezza strada tra la mia casa e la sua. Cene al ristorante a chiacchierare e a raccontarci le novità di lavoro e studio e anche personali. Quando ho saputo della sua morte (avevo cenato con lui a Roma i primi di gennaio, lo avevo trovato in ottime condizioni anche se sapevo che combatteva da decine di anni con i suoi problemi cardiaci) ho avuto la sensazione dell’improvviso cedimento di una spalla a cui mi appoggiavo, di un interlocutore geniale, di un amico generoso.
Credo che questo sia un ruolo che lui ha avuto con moltissime persone, non smetteva mai di confrontarsi con le cose nuove che incontrava e sulle quali amava ragionare. Lo ricorderò e lo ricorderemo in molti, ne conserveremo memoria. Prenderemo iniziative per onorarlo nei prossimi mesi.
– Sandra Sassaroli-
Fondatrice e Presidente del Gruppo Studi Cognitivi