Possibili cause del disturbo borderline
Tra le cause del disturbo borderline di personalità, la letteratura evidenzia la presenza di un ambiente invalidante e fattori genetico-temperamentali che predisporrebbero la persona allo sviluppo della disgregolazione emotiva.
Vi è una grande variabilità nell’ambito dell’esordio del disturbo borderline. L’andamento più frequente è rappresentato da instabilità cronica nella prima età adulta, con episodi anche gravi di discontrollo delle emozioni e degli impulsi e frequente uso di servizi sanitari e mentali.
Il rischio di suicidio è maggiore negli anni giovanili e svanisce con l’avanzare dell’età.
Solitamente intorno ai 40/50 anni gli individui con disturbo borderline di personalità raggiungono una maggiore stabilità nelle relazioni e nel lavoro e dopo circa 10 anni almeno la metà degli individui non mostra più pattern di comportamento che soddisfano tutti i criteri per il disturbo borderline.
Cura del disturbo borderline: il trattamento psicoterapeutico
Il disturbo borderline di personalità è tra i disturbi più studiati. Il trattamento più efficace per la cura di questo disturbo è la psicoterapia individuale, eventualmente affiancata dalla farmacoterapia.
Attualmente risultano maggiormente efficaci i trattamenti che includono terapie diverse e intensive, tra le quali:
La terapia dialettico-comportamentale (DBT) di Marsha Linehan che è un trattamento ad orientamento cognitivo-comportamentale integrato validato con studi randomizzati controllati. Secondo la Linehan il disturbo borderline è il risultato di fattori genetici e fattori ambientali e si caratterizza per una sensibilità innata, un’intensità emotiva e una bassa capacità di controllare le emozioni (disregolazione emotiva).
La DBT si sviluppa su due piani: il trattamento individuale e il trattamento di gruppo. Nel trattamento individuale si lavora sui vissuti del paziente; nel trattamento di gruppo vengono insegnate specifiche abilità (ad esempio, abilità di regolazione emotiva, abilità di mindfulness) volte a favorire una gestione più efficace di situazioni problematiche e di stati di sofferenza.
La schema-focused therapy (SFT) di Jeffrey Young è un trattamento che integra l’approccio cognitivo-comportamentale con approcci basati sulle relazioni oggettuali e sulla Gestalt.
Secondo quest’approccio, nel paziente borderline sarebbero attivi degli schemi disadattivi precoci e delle strategie di padroneggiamento delle difficoltà che darebbero origine ad altri specifici schemi.
Il trattamento basato sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy, di derivazione psicodinamica, è stato applicato finora solo su pazienti in strutture di semiricovero (day hospital). Secondo gli autori, la difficoltà principale di chi soffre di disturbo borderline è quella di mentalizzazione, che consiste nella capacità di rappresentarsi gli stati mentali propri e altrui, di spiegarsi il comportamento e di prevederlo. Questa terapia, dunque, è volta all’incremento della capacità di mentalizzazione dei pazienti.
La terapia cognitivo-analitica di Ryle è un trattamento che integra l’orientamento cognitivo con quello psicoanalitico. Si basa sulla ricostruzione e sul padroneggiamento delle immagini di sé e dell’altro e delle loro transizioni.
La terapia metacognitiva interpersonale (TMI) si concentra primariamente sulla regolazione di stati mentali problematici che si attivano sia in seduta che fuori. Dopo di che vengono insegnate strategie di mastery, o di regolazione emotiva, che possono aiutare il paziente a gestire in modo più funzionale lo stato problematico. Tale intervento è necessario per consentire il superamento di dinamiche relazionali patologiche (cicli interpersonali) che facilmente si innescano tra terapeuta e paziente. Altro aspetto centrale nel trattamento del disturbo borderline di personalità secondo l’approccio metacognitivo interpersonale è il lavoro sulle disfunzioni metacognitive che includono, oltre alla disregolazione emotiva, il deficit d’integrazione e il deficit di differenziazione.